A pochi mesi dalla conferenza sul clima che si terrà a Parigi nel dicembre 2015, il presidente americano Barack Obama ha presentato il suo piano per il settore energetico statunitense. Tra i punti salienti c’è l’imposizione di tasse alle centrali elettriche affinché provvedano a far calare del 32% le emissioni di gas serra, entro il 2030, per raggiungere l'obiettivo nazionale del 26-28%. 56 paesi, di cui 28 appartenenti all'Unione Europea, avrebbero già dato lo scorso 31 marzo un’adesione di massima al programma. Gli Stati mancanti avranno tempo fino alla prossima scadenza del 1° ottobre. Nel complesso, gli Stati che hanno dato il loro contributo, rappresentano al momento il 58,1% delle emissioni globali, dove fanno la “voce grossa” la Cina con il 23,2% dei gas serra scaricati nell'ambiente, seguita da Stati Uniti con il 12,6%, Russia 4,9%, Giappone 2,6%. Manca ancora l’India, responsabile del 6,3% delle emissioni di gas serra. L’impegno di ogni singolo paese procedere comunque in ordine sparso e comunque in base alla loro quota di emissione, certificata dal World Resources Institute nel 2012. Difficile, almeno per ora, confrontare l’attuazione pratica degli impegni assunti. Ciò avverrà tuttavia in occasione de prossimo 21° COP, la Conferenza tra le Parti che dovrà ratificare la convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, che si terrà appunto a Parigi, l’inverno prossimo. L’impegno dell’Unione Europea è più incisivo di quello americano. Il 28 Stati dell’Unione si sarebbero impegnati a ridurre le emissioni di gas serra del 40% entro il 2030, rispetto ai dati del 1990, cioè quanto scritto nel protocollo di Kyoto firmato nel 1997 ed attuato nel 2005. Sulla stessa linea anche Russia, Norvegia e Svizzera. Gli Stati Uniti hanno registrato nel 2014 un’emissione di 5,8 miliardi tonnellate di CO2, in rialzo dai 5,2 miliardi scaricati nel 2013, mentre la Cina ha “bruciato” risorse per emettere quasi 11 miliardi di tonnellate di CO2.